Mentre a Belém, in Brasile, la COP30 inciampa nei soliti veti incrociati, lontano dai riflettori politici arriva un segnale forte dalle chiese cattoliche e protestanti.

62 istituzioni religiose scelgono di disinvestire dal fossile: un gesto di disobbedienza morale che nasce nei territori dove crisi climatica e fragilità sociale camminano insieme

Il 18 novembre, mentre governi e grandi compagnie trattano il futuro come fosse merce di scambio, parrocchie, diocesi, ordini religiosi, reti protestanti e istituti finanziari ecclesiali hanno fatto un passo semplice e radicale: tagliare i legami economici con il petrolio, il gas e il carbone. È uno dei più grandi annunci collettivi di disinvestimento mai realizzati dalle comunità di fede, come spiega il sito del Movimento Laudato si’.

Ci sono diocesi cattoliche italiane (Siena, Montepulciano, Lucca, Cremona…), istituzioni canadesi, ordini religiosi europei, reti protestanti come l’Arbeitskreis Kirchlicher Investoren (AKI) che riunisce 42 investitori istituzionali della Chiesa tedesca. Un mosaico che dimostra come la conversione ecologica evocata da anni non sia solo un richiamo spirituale, ma si giochi nel concreto della finanza, della gestione delle risorse, dei progetti comunitari.

In un paese dove ogni giorno si misurano i danni prodotti dalla crisi climatica, città sommerse e colline franate, il disinvestimento non suona come gesto ideologico, ma come atto di sopravvivenza comunitaria.

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