Dalla reazione alla riflessione, il passo è lungo.
Eppure stiamo rovinando un’opera dal valore inestimabile

E’ facile indignarsi per un gesto radicale, seppur non violento, che ha portato a imbrattare in quasi tutti i casi solamente i vetri protettivi delle opere d’arte. Anzi: è sicuramente comprensibile e condivisibile il risentimento spontaneo che sovviene alla vista di opere d’arte all’apparenza rovinate irreparabilmente. Che c’entrano questi emblemi universali di cultura e sensibilità artistica con l’emergenza climatica e ambientale del Pianeta?

Sembrerebbe poco o nulla. Ma se la reazione immediata è di sorpreso sconcerto per lo stridore di due ambiti apparentemente scollegati, la riflessione successiva dovrebbe essere meno semplicistica che concludere di non condividere i metodi. La reazione di gran parte dell’opinione pubblica era di certo prevista dai giovani attivisti di “ultima generazione”, i quali già dal nome dimostrano di avere chiara l’urgenza di fondo di una questione ambientale planetaria che, per quanto inesorabile, è troppo lenta nel suo esplicarsi per provocare reazioni concrete nelle politiche pubbliche o nello scardinare le abitudini della gente. Tutti siamo interessati solo a quello che ci tocca da vicino, qui e ora, tra un anno o due al massimo.

Eppure tutti sappiamo che stiamo consumando più risorse di quanto la Terra sia in grado di rigenerare, provocando cambiamenti climatici e ambientali che mettono in serio rischio non solo la qualità di vita, ma la sopravvivenza stessa della specie umana. Siamo abituati ad un livello di benessere e di comodità che tutti fatichiamo a limitare, frutto di modalità di consumo di beni, di servizi e di energia, che pensiamo sempre disponibili. L’attuale crisi energetica è l’ennesima evidenza che il sistema non funziona in questo modo, tuttavia, un cambiamento serio dei nostri stili di vita o nelle politiche di decarbonizzazione dell’economia resta nei fatti improponibile.

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