Dopo febbrili negoziazioni continuate fino alla tarda notte di sabato, all’alba di domenica 20 novembre, con le ormai consuete 36 ore di ritardo rispetto alla tabella di marcia, la Cop27 ha licenziato l’attesa Cover Decision, lo “Sharm el-Sheikh Implementation Plan”.

Ad accoglierla, la delusione di Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea, che ha definito l’accordo raggiunto “non sufficiente”, aggiungendo che “troppi paesi non sono pronti a fare  progressi nella lotta contro la crisi climatica“. Dello stesso segno le parole del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ha commentato: “Il nostro pianeta è ancora nella sala emergenze del pronto soccorso. Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un tema che questa Cop non ha affrontato. Il mondo ha ancora bisogno di un gigantesco salto di qualità per quanto riguarda le ambizioni climatiche.

Parole chiare che, dopo aver riconosciuto i passi avanti fatti dalla Cop27 su alcuni temi, come sul meccanismo Loss&Damage, rimettono al centro un dato che non si può trascurare: l’inadeguatezza di quanto deciso rispetto al primo imperativo cui rispondere, che è il repentino e radicale taglio delle emissioni di gas e effetto serra.

Tra i passi avanti delal Cop27 c’è, appunto, l’accordo sulla creazione di un fondo per il Loss&Damage, ovvero per risarcire perdite e danni prodotti dai cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo è la principale novità che esce dalla Cop27.

Ci sono stati dei “passi sul posto“: a un certo punto delle negoziazioni si è temuto che per approvare il documento finale venisse sacrificato (ovvero tolto dal testo) il riferimento all’obiettivo dei 1,5°C. Nella versione definitiva invece, come in realtà nelle ultime bozze circolate, il riferimento è tornato. E per fortuna: tornare indietro sull’obiettivo di contenimento, inserito anche nella Cover Decision della Cop26 di Glasgow, avrebbe significato compiere un allarmante, ulteriore passo indietro sul fronte della mitigazione.

Mentre la maggiore delusione, cioè i passi indietro, riguarda il fronte del contrasto all’emergenza climatica. In altre parole, mancano misure per ridurne la causa principale: la combustione di fonti energetiche fossili.

La verità dei fatti, ribadita dalle evidenze contenute nei report presentati poco prima o durante la Cop è che gli impegni attualmente in campo sono nettamente insufficienti a contenere le temperature entro i livelli previsti dall’Accordo di Parigi e che le concentrazioni di Co2 in atmosfera, come pure le emissioni globali, continuano a crescere anno dopo anno. Per questo, rivedere le ambizioni al rialzo non è rimandabile. Elemento che il documento finale della Cop27 ha eluso del tutto.

Nella decisione finale, la sezione sulla mitigazione, che reitera un generico, rituale invito a ridurre i gas serra, ribadisce l’obiettivo (minimo) di tagliare del 43% le emissioni globali entro il 2030 sui livelli del 2019. Tuttavia cita soltanto en passant, tra gli sforzi da accelerare, la riduzione graduale del carbone e l’eliminazione sempre graduale degli “inefficienti” sussidi ai combustibili fossili.

Allo stesso tempo, i tre scarni punti dedicati all’energia fanno riferimento per ben due volte al potenziamento delle energie rinnovabili e “a basse emissioni”. Anche quest’ultima espressione, lungi dall’essere una buona notizia è da leggere, secondo gli analisti, come una moratoria di fatto sullo sfruttamento del gas. Sulle rinnovabili inoltre mancano ancora una volta riferimenti temporali e obiettivi quantitativi.

Tutto il tema della mitigazione è dunque ai margini dell’accordo, trattato nel testo finale con affermazioni vaghe e generiche. Tra le previsioni su cui si è raggiunto consenso manca ogni riferimento al raggiungimento del picco emissivo entro il 2025, come la necessità di ridurre gradualmente l’utilizzo di fonti fossili o l’indicazione di una road map per il phase out della più inquinante tra queste ultime: il carbone.

L’Egitto ha giocato un ruolo non irrilevante in tal senso. Essendo paese ospitante che, come di prassi, ha presieduto e dettato l’agenda delle giornate di lavoro. Il conflitto di interessi di un paese legato a doppio filo allo sfruttamento del gas, che ha fatto squadra con gli altri paesi produttori di petrolio e gas, ha fatto la differenza sul risultato finale.

>>Leggi tutto l’articolo di Marica Di Pierri sul sito di Comune-Info
(Articolo pubblicato sul blog economiacircolare.com)