Segnaliamo un articolo di approfondimento di Altreconomia sul reddito alimentare

Nell’ultima legge di Bilancio è stato introdotto il Fondo per la sperimentazione del Reddito alimentare. Si baserà sull’“erogazione, a soggetti in condizioni di povertà assoluta, di pacchi alimentari realizzati con l’invenduto della distribuzione alimentare”. Perché questa misura e come contestualizzarla nella fase socio economica attuale

Questa proposta è stata inserita a seguito di un emendamento del Partito democratico e rappresenta il risultato di un percorso iniziato due anni prima, sulla spinta principalmente di Leonardo Cecchi, attualmente responsabile delle Nuove povertà del Pd umbro. Tra i passi del percorso ricordiamo il lancio di una petizione sulla piattaforma Change.org nel 2021 (alla quale hanno aderito quasi 70mila firmatari) e la creazione di un comitato ufficiale per il Reddito alimentare nel marzo 2022. Sia al livello regionale sia comunale non sono poi mancate discussioni politiche al riguardo e tentativi di implementazione della misura precedenti alla sua introduzione nella legge di Bilancio. Ne sono un esempio le proposte in Umbria, e nei Comuni di Firenze e Pistoia.

La proposta del Reddito alimentare ha ricevuto un sostegno importante per la dimensione che sta raggiungendo il problema della povertà in Italia.
Secondo i fautori di questa proposta, la povertà alimentare diventa ancora più problematica e paradossale se messa a confronto con la questione dello spreco nella filiera alimentare. Secondo la recente indagine Waste Watcher 2023 sul caso italiano, nel 2022 sono state gettate oltre quattro milioni di tonnellate di cibo: per il 26% in agricoltura, per il 28% nell’industria e “solo” per l’8% nella distribuzione.

Al momento sono ancora poco definite le modalità operative della sperimentazione del Reddito alimentare. Secondo quanto stabilito dalla legge di Bilancio (art. 1, comma 434), il pacco alimentare potrà essere prenotato dagli aventi diritto mediante una app e poi ritirato presso un centro di distribuzione, mentre i beneficiari appartenenti a “categorie fragili” potranno riceverlo a domicilio. Ulteriori aspetti attuativi, quali le forme di selezione dei beneficiari e di coinvolgimento degli enti del Terzo settore, saranno ulteriormente definiti tramite decreto del ministro del Lavoro e delle politiche sociali entro inizio marzo 2023.

La duplice dichiarazione di intenti di questa misura -contrasto allo spreco alimentare da un lato, lotta alla povertà dall’altro- va collocata nell’ambito di un modello di intervento tanto diffuso quanto dibattuto al livello internazionale.

A una prima lettura, interventi che si concentrano sullo spreco e sulla povertà sembrerebbero una soluzione interessante per contrastare i due problemi. La ridistribuzione di invenduti viene infatti spesso presentata come una soluzione win-win, che interviene tanto sul fronte sociale quanto su quello ambientale. Potrebbe inoltre apparire, in un contesto di emergenza sociale, come una soluzione che è “sempre meglio di niente”. Ma è davvero così? E che cosa succede quando si tenta di far diventare questo tipo di intervento più strutturale?

Come identificato nel dibattito su questi temi, purtroppo principalmente accademico (per il contesto italiano, per esempio, Arcuri, Galli e Brunori (2016) e Toldo (2017)), questo tipo di intervento comporta non poche criticità soprattutto sul fronte del contrasto alla povertà, ad esempio per quanto riguarda l’inadeguatezza nutrizionale o culturale del pacchetto di prodotti offerto, con conseguente riproduzione delle ineguaglianze (si pensi alla salute), al numero limitato dei beneficiari che vengono raggiunti.

Importante sottolineare anche la questione della depoliticizzazione della povertà alimentare. Si rischia infatti di proporre una soluzione apparente, che si nutre delle contraddizioni stesse del nostro sistema produttivo. In questo caso, l’intervento utilizza un elemento di disfunzione del sistema (lo spreco) come soluzione ad un altro elemento di disfunzione (l’impossibilità di accedere ad un cibo adeguato per tutti), con il rischio che si generino dei trade-off tra implementazione di strategie di contrasto allo spreco efficaci e effettiva disponibilità di derrate alimentari per la distribuzione (Galli, Cavicchi, Brunori 2019). In altre parole, come sottolineato da autori quali Riches and Silvasti (2014), questo tipo di intervento rischia di allontanarci da una concezione di ridistribuzione fondata su un approccio al cibo come diritto e abituarci a considerare soluzioni quelli che sono in realtà parziali palliativi, in un sistema nel quale non vengono intaccate le condizioni strutturali dell’ingiustizia sociale.

Clicca qui per leggere tutto l’approfondimento sul sito di Altreconomia