L’urgenza del tema, la paura e la frustrazione, una precisa dimensione temporale: sono gli elementi che caratterizzano i nuovi attivisti climatici e che influenzano le loro strategie di azione.
Il movimento è un ecosistema di gruppi diversi impegnati a realizzare quel cambiamento che costringa i governi a prendere sul serio la crisi

Segnaliamo l’articolo di approfondimento della rivista Altreconomia:
La corsa contro il tempo del movimento per il clima. A marzo mobilitazioni chiave”

Dopo un periodo di momentanea pausa dovuto alle restrizioni imposte dalla pandemia, gli attivisti climatici sono tornati in azione. A marzo sono previste due grandi manifestazioni di piazza a livello internazionale: i Fridays for future hanno lanciato lo sciopero globale per il clima il 3 marzo; mentre negli Stati Uniti gli attivisti di Third Act stanno organizzando per il 21 dello stesso mese una grande azione di protesta contro le banche che finanziano le compagnie petrolifere. Ma già il 2022 è stato un anno molto attivo dal punto di vista delle azioni di protesta per il clima con le manifestazioni durante le conferenze delle Nazioni Unite, gli scioperi, i blocchi stradali e di aeroporti, gli attacchi (non dannosi) alle opere d’arte, le incursioni durante eventi pubblici, i sit-in e le occupazioni come quella recente avvenuta nel villaggio tedesco di Lützerath.

Dalle prime manifestazioni del 2018, il movimento è cresciuto molto a livello internazionale ed è riuscito ad attirare l’attenzione sia dei cittadini sia della politica, ma è ancora lontano dal realizzare il cambiamento cui aspira. Una delle principali domande che gli attivisti ancora si pongono rimane come creare un momento di azione collettiva e di cambiamento sociale per costringere i governi a prendere sul serio le loro richieste.

Le risposte a questa domanda variano perché variegato è l’ecosistema, come lo definiscono gli stessi attivisti, dei gruppi che compongono il movimento: nuovi e/o giovanissimi attivisti, ambientalisti e attivisti di lungo corso, insegnanti e genitori, ma anche scienziati e ricercatori. Questi compongono in diverso modo il gruppo più numeroso dei Fridays for future (Fff) oppure quelli più piccoli di Extinction rebellion (Xr), Ultima Generazione o Scientist rebellion, per citarne alcuni. Cambia non solo la composizione e il numero dei partecipanti, ma cambiano anche gli obiettivi e il target delle azioni di protesta.

Se i Fridays for future, e in parte Xr, dalla nascita hanno puntato a diventare movimenti di massa agendo per sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi legati al clima, piccoli gruppi come Ultima Generazione seguono strategie diverse. Organizzare una marcia, uno sciopero globale, una manifestazione internazionale richiede un grande numero di persone, una rete di supporto e un certo livello di organizzazione.

I gruppi più piccoli, per compensare queste carenze, puntano su un tipo di azione diretta e disturbante più rischiosa a livello individuale, ma in grado di attirare l’attenzione dei media. Di qui le strategie di lanciare cibo su palazzi istituzionali e opere d’arte, bloccare strade e aeroporti. Queste proteste infastidiscono le persone, creano loro disagio e come conseguenza spesso provocano una perdita di supporto nei confronti dei manifestanti. Ma l’ampia popolarità spesso non è l’obiettivo di questi gruppi, quello che vogliono è evidenziare l’inerzia politica e costringere il governo ad agire. Anche per questo le loro campagne sono generalmente bene delimitate negli scopi: Ultima Generazione chiede lo stop a qualsiasi tipo di finanziamento alle fonti fossili, Scientist rebellion propone di mettere al bando l’uso di jet privati.

“Le nostre strategie partono da un’analisi dell’efficacia del movimento fino a oggi”, racconta ad Altreconomia Carlotta, aderente alla campagna di Ultima Generazione. “Le marce sono state utilissime e ancora servono a illuminare i temi legati ai cambiamenti climatici. Ma se milioni di persone che manifestano in strada non sono sufficienti per fare pressione politica sui leader, ci siamo chiesti, che cosa è necessario?”.

L’idea di compiere azioni dirette verso edifici o cose non arriva dal nulla. Xr, a cui si sono poi ispirati i gruppi più piccoli, dichiara apertamente di promuovere l’uso della protesta nonviolenta, facendo spesso riferimento a movimenti del passato che hanno messo in pratica azioni di protesta radicale: da Gandhi a Luther King, dalle Suffragette ai Freedom riders degli Stati Uniti. I riferimenti sono anche a lavori di ricerca, come quello della politologa statunitense Erica Chenoweth. La sua ricerca ha analizzato centinaia di proteste non violente avvenute dal 1900 al 2006 in contesti governati da regimi autocratici e forze militari di occupazione. I risultati hanno mostrato che i movimenti nonviolenti con una partecipazione attiva di almeno il 3,5% della popolazione riescono a ottenere un serio cambiamento politico.

Gli attivisti climatici mantengono ancora viva la speranza, dice Giacomo Oxoli di Xr: “Non ci siamo arresi all’idea che le cose andranno per forza male e ormai è troppo tardi. Sentiamo la necessità di fare quello che facciamo in un’ottica di trasformazione culturale”.

La nuova ondata di attivismo climatico è unica per durata e capacità di mobilitazione, ma arriva dopo altri momenti importanti di lotte per il clima. Già negli anni Settanta e Ottanta il riscaldamento globale era diventato un’urgenza e aveva portato a grandi proteste a partire dagli anni Novanta. Ma la mobilitazione per il clima era stata intermittente, raggiungendo grande coinvolgimento in due momenti in particolare: al vertice delle Nazioni Unite del 2009 a Copenaghen, per la Cop15, e nel 2015 a Parigi, per la Cop21.

“Attorno al 2007-2010, la delusione verso l’apparato delle Nazioni Unite che non riusciva davvero a evitare la degradazione ambientale, ha portato i movimenti a cercare di ricucire lotte locali, come quelle degli indigeni, e le lotte internazionali del movimento di giustizia globale dei primi anni duemila, portando così a rafforzare l’emergente movimento per la giustizia climatica -spiega Louisa Parks, professoressa associata di Sociologia politica dell’Università degli studi di Trento-. I movimenti climatici di oggi credo che guardino a quella eredità. La forza e l’efficacia del nuovo movimento sta nella sua capacità di mobilitazione che viene dalla capacità di innovare, anche nelle forme di protesta”.

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